domenica 27 ottobre 2013

La componente visiva dell'anoressia

Volevo proporre questa sera uno spunto di riflessione.
Un po' di tempo fa sono stata all'Istituto Ciechi di Milano per partecipare al Dialogo nel Buio. Per chi non lo conoscesse, è un percorso totalmente al buio, che si svolge in un ambiente chiuso articolato in più stanze, ognuna con suoni, rumori, odori, oggetti particolari. La visita delle stanze viene svolta a gruppi di 6/8 persone ed è gestita da una guida ipovedente o cieca. Durante il percorso si utilizzano tutti i sensi, ad eccezione della vista, per esplorare l'ambiente. Si "vede" l'acqua grazie al suo rumore e si "leggono" frasi con le dita. È un'esperienza molto istruttiva, che dà un pochino il senso di cosa significhi non vedere, ma sentire le cose in altri modi.

Senza la componente visiva, come sarebbe la vostra vita?

Prima di questa esperienza, non ci avevo mai pensato veramente. Ho sempre desiderato che gli altri potessero vedermi diversa da quello che sono, ma appunto vedermi. Non avevo mai pensato a come sarebbe, a come starei io, se la visione del corpo non fosse parte del processo di interazione sociale. Sarei diventata anoressica comunque? Sia chiaro, io non penso che l'anoressia sia causata dal cibo o dall'aspetto fisico, ma da un disagio interno. Un disagio interno che mi son ritrovata a fronteggiare, ma che era troppo profondo e nascosto perché potessi riconoscerlo. Ma, dato mi faceva stare male e volevo debellarlo, ho trasposto il mio disagio su un altro piano, un piano su cui potessi intervenire, in particolare sul mio aspetto fisico. Ho quindi trasposto e "superficializzato" il disagio profondo per poter avere la possibilità di intervenire e ripristinare una condizione di benessere. Di conseguenza, il mio strumento primo è stata la restrizione alimentare, che inconsciamente pensavo poter risolvere il mio vero disagio e restituirmi il benessere, perché il mio cervello aveva inavvertitamente sovrapposto i due piani su cui stavo lavorando.
Che la restrizione potesse risolvermi i problemi era chiaramente un pensiero infondato, ma di fatto tutto il ragionamento è partito da un qualcosa di cui ancora non conosco le cause e che non so risolvere e poi è subdolamente scivolato su un altro piano, che non era quello autentico, ma era un piano su cui avevo potere. Se la componente visiva non ci fosse stata, probabilmente lo scivolamento non sarebbe avvenuto in questo senso, ma in altri. E probabilmente l'anoressia non ci sarebbe stata, ma avrei avuto a che fare con un suo sostituto.

Tutto questo può sembrare un ragionamento fine a se stesso, come se stessi dicendo che mi sarebbe piaciuto essere cieca per non sviluppare i miei problemi, ma non è così. È solo che, durante il percorso nel buio, ho avuto una strana esperienza, che mi ha realmente sorpresa.

Come ho scritto in precedenza, la visita guidata si svolge in gruppi di 6/8 persone. Io avevo prenotato con una mia amica, quindi gli altri partecipanti erano sconosciuti. Io e la mia amica siamo arrivate al pelo con l'orario in Istituto, quindi ci siamo unite al gruppo appena prima di entrare e non abbiamo fatto in tempo a conoscere e a presentarci agli altri partecipanti. Così l'abbiamo fatto all'interno, dove già non si vedeva più niente.
Durante il percorso ho familiarizzato con una signora, che camminava davanti a me. Dovevamo toccare i muri per orientarci, analizzare con il tatto la superficie degli oggetti per capire cosa fossero, assicurarci che gli altri componenti del gruppo ci seguissero: così abbiamo cominciato a fare tutto questo insieme. Ci scambiavamo pareri, facevamo tra noi battute. Non c'eravamo (letteralmente) mai viste prima, eppure ci stavamo conoscendo. Ricordo con precisione la sua voce, i suoi modi; era la voce di una persona gentile, molto dolce e un po' riservata. Nella mia testa, poteva essere un'insegnante molto precisa nel suo lavoro, ma disponibile ad ascoltare. Tutto questo dalla voce e dalla modalità con cui interagiva con me. Ancora oggi mi chiedo che lavoro facesse!
Nell'ultima stanza, c'è una frase da "leggere" con le mani, scritta con lettere giganti. Non vi dico cosa c'è scritto (così, se qualcuno vuole fare il percorso, non rovino la sorpresa!), ma solo che io è lei ci siamo divertite un mondo a decifrarla, lettera per lettera. Ho riso e scherzato con leggerezza. La conoscevo da poco, molto poco. Eppure mi stavo lasciando andare, ero molto più disinibita del solito. Lei non poteva vedermi, il mio aspetto fisico non mi stava ostacolando, in quel momento non importava proprio. Per un attimo mi sono sentita libera.
Quando l'ho vista, ho pensato: "Urca, me l'aspettavo diversa". Aveva i capelli corti e non lunghi, rossi e non neri, era vestita sportivamente. Se era grassa o magra, a quello non ci ho fatto caso. Ci credete? Se me lo raccontassero, io non ci crederei. Eppure per un attimo il mio cervello si è concentrato sugli occhi scuri e divertiti della signora e ha lasciato stare il resto. Quegli occhi me li ricordo ancora oggi e, anche se non so in che corpo collocarli, va bene così.
Alla fine del percorso, ci siamo viste e salutate. È stato naturale, come se ci fossimo già conosciute e il nostro aspetto non importasse davvero. Mi ha parlato alla luce nello stesso identico modo in cui l'ha fatto nel buio: c'era sempre la stessa dolcezza, la stessa gentilezza nel suo tono.

Sono uscita dall'Istituto Ciechi, ho preso la metro fino alla stazione e sono tornata a casa. Il mondo era lo stesso di prima; mi sentivo a disagio, ma con due problemi aperti nella mente: appurata l'importanza della componente visiva del mio disagio (che fino a quel momento non avevo mai valutato singolarmente), c'era qualche strategia specifica da poter attuare per riuscire a gestirla meglio? Tu vivi una dispercezione, nella quale "senti" e "vivi" il tuo corpo come grasso, anche quando non lo vedi. Ma questo processo è partito da un confronto visivo o è nato come componente percettiva a se stante?
E l'ultima domanda mi risuonava ancora più forte nella mente, diceva più o meno così: nel dialogo nel buio ti sei sentita libera dall'aspetto esteriore e hai avuto l'impressione che le persone che interagivano con te avessero a che fare con una parte "buona" di te, che non hai paura a mostrare. Ma chi ti dice che anche chi ha la vista intatta non sia in grado di apprezzare pienamente questa tua componente? Perchè hai paura che le imperfezioni del tuo corpo, il tuo grasso, possano essere così rilevanti da prevenire gli altri nel riconoscerti per come sei?
In altre parole, qual è la vera paura?

Non mi sono risposta, in realtà. Ma ho pensato di condividere con altri questa esperienza, che magari non mette in evidenza niente di che, però mi ha consentito di provare nuove sensazioni. Spero possa essere utile anche a voi e mi piacerebbe sapere se qualcuno ha avuto esperienze simili.

Buonanotte :)
Vale
         

5 commenti:

  1. Cara Vale, prima di tutto ti ringrazio di cuore per avermi scritto.
    Seguirò anche io il tuo blog, in modo tale da allargare la cerchia delle amiche che hanno bisogno. Insomma, un sostegno reciproco, no ?! ^^
    Cmq, leggendo questo tuo post ho avuto i brividiiiiii !! Non so come hai fatto a trovare il coraggio di partecipare a un dialogo al buio.. io ho l'ansia solo al pensiero :( Però continuando a leggere il tuo racconto, credo che un'esperienza del genere ne valga la pena :)
    Un abbraccio
    A presto ! <3

    Born or Die

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  2. Personalmente, non ho mai svolto un'esperienza del genere, nè esperienze simili... Però trovo molto interessanti le tue riflessioni.
    Concordo pienamente in quello che scrivi nella prima parte del tuo post, mi discosto invece da quello che hai scritto nella seconda parte.
    Mi spiego.
    Sono d'accordo al 100% con te sul fatto che l'anoressia non è causata np dal cibo nè dall'aspetto fisico, ma da ben altri e più profondi disagi interiori, variabili da persona a persona. Di conseguenza sono totalmente d'accordo con la tua riflessione che consegue a questo tuo pensiero, sul fatto che, esistendo le problematiche sottostanti, se non fosse stata l'anoressia, ci sarebbe comunque stata un'altra "valvola di sfogo" patologica. Non a caso, oltre ad avere problemi di anoressia, ho anche avuto problemi di autolesionismo: nient'altro che un'ulteriore forma patologica che ho messo in atto per estrinsecare il mio ossessivo bisogno di controllo, che è poi stato il motore fondamentale anche dell'anoressia.
    Mi discosto invece dall'ultima parte del post, perchè fortunatamente io non ho mai avuto problemi di dispercezione. Non mi sono mai sentita nè "vissuta" come grassa, anche perchè obbiettivamente sono sempre stata magra (anche prima che mi ammalassi di anoressia), per cui non rilevo una "componente visiva" del mio disagio-disturbo alimentare. Però questo rientra nel più generale discorso della singolarità: ognuna di noi ha delle problematiche specifiche, che non sono mai totalmente sovrapponibili a quelle altrui, per cui io ovviamente riporto qui la mia esperienza e i miei pensieri, consapevole di non essere depositaria di verità assolute, ma semplicemente testimone della mia piccola verità individuale.
    La risposta alla domanda che chiude il tuo post, pertanto, penso sia estremamente soggettiva. Io penso che ognuna di noi ha delle proprie personali paure che nasconde dietro al proprio DCA... e che sia importante, attraverso la terapia, cercare di individuare queste paure, per poterci lavorare su, e vedere se è possibile riuscire a vivere più serenamente.
    Un abbraccio...

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  3. @ Born or Die Hai perfettamente ragione sul sostegno reciproco! E' utile confrontarsi, molto utile anche per la rielaborazione delle proprie esperienze, aiuta a vedere tutto in maniera un po' diversa e a renderci pian piano accessibili anche aree che, sotto silenzio, risultano inaccessibili perché un po' troppo dolorose. Seguirò anche io il tuo blog :)
    Guarda, sinceramente non mi ero posta nemmeno il problema del fatto che sarebbe stato buio. E questo è molto strano, conoscendo le inclinazioni della mia personalità. Però, nel primo momento in cui sono stata dentro ho avvertito una certa paura, della serie "non vedo niente...e se mi perdo? E se faccio la figura di merda?". Ma dura due minuti e, devo dire, è abbastanza collettiva. 6/8 persone abituate a vedere che vengono deprivate della vista tendono ad avere reazioni un po' disorientate. A volte bisogna prendersi meno sul serio e semplicemente...giocare.
    Poi, le conclusioni che uno trae dall'esperienza sono personali. Però sì, la consiglierei :)

    @Veggie E sì. Sai una cosa? Io faccio fatica ad immaginare una anoressia senza dispercezione, per il semplice fatto che in me la dispercezione è partita prima e ha agito come uno dei fattori innescanti.
    Sì, la seconda parte di quello che ho scritto riguarda esclusivamente la dispercezione, infatti l'esperienza girava attorno alla privazione del principe dei sensi della percezione, la vista. Che poi, rimane sempre il tatto, che mi causerebbe problemi anche al buio, e il pensiero distorto, per cui dispercepisco anche senza necessità di percepire alcunchè.
    L'ultima domanda è quella che ci facciamo un pò tutte, magari in modo diverso, ma la risposta che vorremmo è una risposta che non son sicurissima che ci sia. Qual è il problema? Cioè, una risposta c'è sicuramente, ma magari non è semplice, ma molto articolata. Magari sono più risposte.

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. Io non ha mai vissuto me stessa come un qualcosa che potesse piacermi e sono molto lontana dai tratti narcisistici di personalità, quindi conta che quello che sto per scrivere attinge alla mia esperienza che sicuramente è diversa dal tuo modo di sentire. Però sì, mi è capitato di sentirmi "così rimpallata". Facevo il ragionamento che fai tu, più o meno, ossia "ho dei comportamenti auto-sabotanti", vivendo questi comportamenti come "disfunzionali", come causa del mio problema. Certo, io sapevo che c'era un disagio interno, ma credevo che agendo sui comportamenti sarei riuscita pian piano a smantellare il problema profondo. Perché, pensavo, controllando ogni cosa, facendo le cose per bene, inanellando una serie di successi personali, per forza dovevo uscirne vincente. Il ragionamento ha anche un suo senso logico, ma la verità è che non (su di me) non ha funzionato. Non sono stata in grado di mettere in atto dei comportamenti diversi da quelli auto sabotanti per molto tempo, perché se fossi davvero riuscita a farlo, i miei nuovi pensieri felici e costruttivi sarebbero stati poco coerenti con il mio modo di percepirmi. È la stessa cosa che ti scrivevo di là: se mi sento uno schifo, le cose belle vengono censurate dalla mia mente, perchè mi mandano in profonda crisi. Mi "rimpallano" (ti rubo il termine!), perché creano un gap tra ciò che penso e il modo in cui mi vivo. Quindi, i miei pensieri tenderanno un po' sempre a riflettere il modo in cui mi vivo ed è su quest'ultimo che devo agire se voglio cambiare qualcosa. Il mio pensiero autosabotante mi è stato "funzionale" nella sua disfunzionalità. "Funzionale" perché mi evitava di creare incoerenze tra il mio modo di vivermi e i miei pensieri. "Disfunzionalità" perché mi faceva tremendamente soffrire, Non so se sono riuscita a rendere l'idea.
    Avverto dalle tue parole un misto di rabbia, di volontà, di paura. Io credo davvero che ognuno di noi abbia le carte in regola per farcela. E che non debba necessariamente farlo da sola. Spero che tu riesca a trovare il modo di comunicare con gli altri, perché da quello che scrivi vedo che c'è tanta ricchezza che potresti condividere. E penso che gli altri si perderebbero molto, se ti passassero a fianco senza conoscerti.
    Un abbraccio forte.
    Vale

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